Gli Stati degli Stati Uniti potrebbero diventare 51
A cura di Amerigo Liberale
La storia dell’Indipendenza delle Colonie Americane dalla madrepatria si è basata su un semplice motto: “No taxation without representation”. Tuttavia, 245 anni dopo la Dichiarazione d’Indipendenza, esistono ancora 700 mila cittadini statunitensi che sono soggetti al sistema fiscale, ma non hanno rappresentanti al Congresso. La cosa più sconvolgente è che sono gli abitanti della capitale Washington, DC. Ma con le due Camere gestite dai democratici, si potrebbe finalmente porre fine a questa falla, istituendo il 51esimo Stato dell’Unione.
Il District of Columbia fu fondato attraverso un atto Costituzionale nel 1790. Per venire a patti tra le colonie del Nord federaliste e quelle del Sud che chiedevano più autonomia, si arrivò ad un compromesso a metà strada. Lo stesso George Washington scelse le rive del fiume Potomac per la fondazione della città, grazie alla cessione dei terreni da parte del Maryland e della Virginia (quest’ultimo Stato si è riappropriato delle terre concesse nel 1847). Col tempo la città si espanse e si rinnovò, ma gli abitanti di DC rimasero sempre in mancanza di diritti politici e ciò ha a che fare anche con la composizione demografica.
Il 16 aprile 1862, il presidente Abraham Lincoln firmò il DC Compensated Emancipation Act che liberò i 3000 schiavi nel territorio della Capitale. Da allora la città divenne un centro importante per i movimenti di emancipazione e per i loro attivisti afroamericani, come Frederick Douglass. Anche oggi Washington DC è una città molto progressista, dove i matrimoni dello stesso sesso furono legalizzati 5 anni prima della storica sentenza della Corte Suprema e dove Barack Obama, Hillary Clinton e Joe Biden ottennero oltre il 90% di preferenze durante le elezioni presidenziali. Non è dunque un caso che siano proprio i democratici a portare avanti la causa di DC.
Tuttavia, la storia dei diritti elettorali degli abitanti di Washington DC è relativamente breve. Data la particolare formula di “Distretto”, la gestione finanziaria è in mano al Congresso e la possibilità di eleggere direttamente un sindaco è stata istituita solo nel 1973. Inoltre, la partecipazione alla votazione del Presidente è possibile solo dal 1964 – grazie al XXIII Emendamento – mentre ancora oggi non esprimono nessun senatore e i Rappresentanti alla Camera possono partecipare all’Assemblea, ma non hanno diritto di voto. Ciò significa che 700mila persone – più della popolazione del Wyoming o del Vermont – non sono rappresentate nelle scelte del Governo federale, pur essendo contribuenti a pieno titolo.
La strada verso il 51esimo Stato
Mercoledì 14 aprile, il Committee on Oversight and Reform alla Camera dei Rappresentanti ha dato il via libera al Washington, DC Admission Act, soprannominato H.R. 51, per trasformare il District of Columbia nel 51° Stato dell’Unione. “Il congresso non può più escludere i cittadini di Washington DC dal processo democratico, obbligandoli ad assistere da bordo campo mentre il Congresso vota leggi che riguardano il Paese o addirittura votazioni sulle leggi adottate dall’amministrazione cittadina” afferma Eleanor Holmes Norton, la delegata del District of Columbia alla Camera, nonché prima firmataria della proposta di legge. “La democrazia richiede molto più”.
La proposta di legge consiste nel diminuire il distretto federale in un’enclave di poche miglia che include gli edifici governativi e i monumenti (Casa Bianca, Corte Suprema, Campidoglio), mentre il resto della città diventerebbe lo Stato di Washington, Douglass Commonwealth, in onore dell’attivista Frederick Douglass. Durante il periodo di transizione di un anno nel quale il Governo Federale aiuterebbe il neo-Stato, verrebbero indette le prime elezioni per votare un membro per la Camera dei Rappresentanti e due Senatori, come per gli altri Stati.
La schiacciante maggioranza democratica della città farebbe sì che i tre membri eletti al Congresso andrebbero a ingrossare le fila dei Dem. Questa preoccupazione è ben chiara ai repubblicani, che hanno ancora qualche carta da giocare in loro favore.
Giovedì 22, l’H.R. 51 è stata votata alla Camera ed è stata approvata senza sorprese (216 a 208). Il vero ostacolo è rappresentato dal Senato, dove la stessa proposta di legge si arenò l’anno scorso senza la possibilità di essere discussa. Ma dal momento che ora sono i democratici a impostare i temi della discussione in aula, la strada si fa meno in salita. A confermare questo ottimismo è l’altissimo numero di Sponsor, ovvero di deputati a sostegno della proposta di legge, 212 alla Camera e 44 al Senato, nonché il supporto dell’Amministrazione Biden.
Tuttavia, al Senato i democratici devono trovare 10 voti per superare il Filibuster, strumento usato dai repubblicani al fine di impedire che la proposta di legge arrivi nelle mani di Joe Biden per la firma finale. L’ostruzionismo repubblicano può essere osservato sotto due aspetti. Da una parte, con altri due seggi in mano ai Dem, i Senatori repubblicani temono di scivolare in minoranza, permettendo ai democratici di attuare molte riforme che richiederebbero una maggioranza semplice: una su tutte l’abolizione del Filibuster, appunto (ne abbiamo parlato qui). Ma secondo molti analisti e attivisti, la strategia dei repubblicani rientrerebbe nella più ampia operazione di limitare i diritti di voto verso la popolazione afroamericana, di cui fanno parte le leggi approvate recentemente in Georgia.
Nella loro lunga storia, gli Stati Uniti hanno affrontato e superato numerose ingiustizie, una su tutte la schiavitù. Ma i concetti di libertà, uguaglianza e ricerca della felicità iscritti nella Dichiarazione d’Indipendenza sono da intendere come un obiettivo più che come un punto di partenza. Dopo 245 anni, l’America ha la possibilità di compiere un altro passo verso una “more perfect Union” descritta nel Preambolo della Costituzione.