Il womanism di Alice Walker

Il womanism di Alice Walker

A cura di Francesca Naima Bartocci

Il 1 marzo si è concluso il Black History Month. Per chiudere il mese della storia dei neri, percorriamo le tappe e i valori di un importante movimento: il womanism.

Il termine womanist si riferisce alle «femministe afroamericane, americane, africane, o al femminismo delle donne di colore» spiega Alice Walker, aggiungendo: «mi piace utilizzare parole che descrivono qualcosa correttamente. L’accezione Black feminist, secondo me, non riesce a farlo. Ho bisogno di una parola che sia organica, che esca davvero dalla cultura e che esprima realmente lo spirito che vediamo nelle donne nere».

Alice Walker è una delle scrittrici afroamericane più conosciute; grazie alle sue opere, Walker ha analizzato la storia degli afroamericani, dal periodo della schiavitù fino alla difficile lotta per i diritti civili, sottolineando le difficoltà (purtroppo tuttora presenti) dettate da stereotipi negativi e le restrizioni imposte dal suprematismo bianco.

Nel suo processo di maturazione come scrittrice e come attivista politica, Alice Walker ha compreso l’importanza di dare spazio e voce a tutte le donne, con l’ideale di un movimento che seguisse la filosofia del femminismo ma potesse abbracciare chiunque, senza distinzioni di alcun tipo.

Walker definisce quindi womanist una «femminista nera o femminista di colore che ama altre donne e/o uomini a livello sessuale e/o non sessuale, apprezza e preferisce la cultura delle donne, la flessibilità emotiva delle donne e la forza delle donne ed è impegnata nella sopravvivenza e interezza delle persone, maschi e femmine».

Il bisogno di creare un vero e proprio movimento che rendesse protagoniste le «black feminist or feminist of color» risale a una divisione presente fin da quando il femminismo prese piede come movimento. Anche se il focus del femminismo era, tra le altre cose, quello di arrivare alla parità di genere, il femminismo americano era prevalentemente bianco, lasciando così spazio a contraddizioni e tensioni. Tensioni evidenti ma non facili da superare, nel complesso rapporto tra il movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta e le donne afroamericane.

A questo proposito, Angela Davis scrisse un saggio mentre si trovava in prigione, “Donne, razza e classe”, cercando di superare falsi miti e pregiudizi e riportando ciò che nella storia spesso era stato “frainteso”, interpretato erroneamente e/o oscurato: la complicata storia delle donne nere. Ciò che Angela Davis evidenzia è quanto qualsiasi esclusione porti forzatamente ad altre esclusioni: nel movimento suffragista, per esempio, ci fu una severa esclusione delle donne nere al suo interno, che poi ebbe un inevitabile riflesso sulle donne della classe operaia in generale, a prescindere dal colore della loro pelle.

Ecco come Alice Walker e Angela Davis possono essere connesse tra di loro, specialmente per la ricerca e la comprensione dell’importanza di un sentimento universalista, che, per essere tale, deve o dovrebbe senza dubbio considerare e conoscere la storia e la stratificazione di esperienze dei diversi soggetti in gioco (citando Cinzia Arruzza nella prefazione di Donne, razza e classe, Edizioni Alegre, 2018).

Ed ecco come negli Stati Uniti, in un complicato e delicato processo, le donne bianche (soprattutto nel Sud) espansero il loro ego opprimendo le donne nere. Come il padrone trattava lo schiavo nel periodo coloniale – e non solo - l’uomo ha trattato la donna come “diversa” e “inferiore”. Tale mentalità individualista ed egocentrica è poi stata rivista nelle donne stesse contro altre donne: il problema risiede dunque nell’operare, da parte del femminismo, con lo stesso principio di opposizioni binarie caro al patriarcato, dove le donne afroamericane furono viste come “le altre”, “le diverse”. Non più – solo – la differenza tra uomo e donna, ma «un’altra profonda differenza emerse: quella tra donna e donna, come messo in evidenza da Nina Baym in The Madwoman and Her Languages: Why I Don’t Do Feminist Literary Theory.

Tornando quindi al womanism e alla sua nascita, «You acting womanish» (dove il verbo essere è, in alcune varianti dell’inglese parlato da parte degli afroamericani, omesso, come in questo caso) è un’espressione che, nel gergo delle donne afroamericane, viene usata dalle madri per rivolgersi alle figlie quando il loro comportamento è o è stato coraggioso, positivamente sfacciato e audace: è esattamente da womanish che Alice Walker ha coniato il termine womanism, apparso per la prima volta nel 1979 nel racconto Coming Apart.

Il womanism è quindi, tra le altre cose, una reazione all’ennesima discriminazione contro le donne nere in quanto donne e in quanto donne “diverse”, quasi “non donne”: tra il 1970 e il 1980 le womanist combattevano soprattutto contro razzismo, sessismo e la divisione in classi. Il famoso aforisma di Alice Walker, «womanist is to feminist as purple to lavander», vuole far intendere che il femminismo è “pallido” come la lavanda se messo a confronto col womanism, di un viola, invece, ricco e acceso. Dal rifiuto delle femministe di appoggiare anche le donne nere (e ricordiamo il famoso discorso Ain’t I a Woman?) nacque un movimento avente l’obiettivo di, finalmente, non vedere le diversità come negative bensì come ricchezze, abbracciandole e salvaguardandole.

Fondamentale nel womanism è l’assenza di separazioni: la filosofia di base è l’universalismo e dalla definizione di womanist come black feminist o feminist of color, si è passati infatti a Universalist.

Parola d’ordine nel womanism è rispettare, indistintamente, le persone trattate come diverse, il mondo circostante e gli esseri viventi in quanto tali.

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