NBA: l’attivismo politico e sociale del basket americano
A cura di Giulia Olini
Che l’NBA sia una delle federazioni sportive più importanti al mondo è noto a tutti.
Michael Jordan, Kobe Bryant, Magic Johnson, Shaquille O’Neal, LeBron James, sono solo alcuni dei giocatori di pallacanestro destinati a rimanere nella memoria collettiva anche dei meno appassionati. Ciò che forse è sconosciuto ai più - perlomeno in Italia - è il ruolo politico e sociale che l’NBA e i suoi giocatori hanno assunto soprattutto nell’ultimo periodo. Con oltre il 75% di giocatori afroamericani, nel corso degli anni il basket americano si è fatto portavoce di un vero e proprio movimento culturale che ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla discriminazione razziale tutt’oggi presente e diffusa negli States.
La dimostrazione che l’NBA occupi un ruolo di spicco anche sul piano politico e sociale può essere riscontrata guardando alla presidenza di Donald Trump: fin dal suo insediamento, allenatori di punta come Gregg Popovich dei San Antonio Spurs e Steve Kerr, alla guida dei Golden State Warriors, leggende del basket al pari di Kareem Abdul-Jabbar e Bill Russell e giocatori come Kevin Durant, LeBron James e Steph Curry, hanno tutti più volte preso posizioni forti contro le sue politiche.
I rapporti turbolenti con la precedente amministrazione sono giunti ad un definitivo punto di rottura il 26 agosto 2020, quando di fronte all’ennesimo caso di razzismo da parte della polizia, l’intera NBA decise di bloccare le proprie partite. In tale occasione, quella decisione assunse un significato talmente potente da avere ripercussioni su tutta l’opinione pubblica, tanto da portare lo stesso Donald Trump a definire la lega di basket “un’organizzazione politica”.
L’NBA alza la voce: lo storico stop dopo il caso di Jacob Blake
E’ il 23 agosto 2020 e a Kenosha, nel Wisconsin, Jacob Blake, una guardia giurata afroamericana, viene ripetutamente colpito alla schiena dai proiettili di due poliziotti che lo riducono in fin di vita e successivamente lo rendono paralizzato. Il video dell’accaduto diventa in poco tempo virale su ogni piattaforma social, inasprendo ulteriormente le proteste del movimento Black Lives Matter, che insorgevano in tutto il Paese già da fine maggio, dopo l’omicidio di George Floyd.
Tre giorni dopo, il 26 agosto 2020, nella “bolla” di Orlando in Florida si stanno disputando i playoff NBA: il primo turno di gara 5 prevede Milwaukee Bucks contro Orlando Magic, squadre rispettivamente originarie del Wisconsin e della Florida.
Appena prima dell’inizio del match, i Bucks decidono di non presentarsi in campo e gli Orlando Magic tornano negli spogliatoi. È il fischio d’inizio di una protesta destinata a far rumore ben oltre il campo da gioco e a lasciare un segno profondo nella storia di questo sport. Dopo il “boicottaggio” del match, George Hill, giocatore dei Bucks, fa una dichiarazione di fronte alla stampa a nome dell’intera squadra, denunciando apertamente la violenza perpetrata dalla polizia a danno della popolazione afroamericana. A quel punto la Lega decide di bloccare i match previsti per l'intera giornata e di emettere un comunicato stampa in appoggio alle proteste dei giocatori contro il razzismo sistemico.
Lo stop a tutte le partite previste per la quinta giornata dei play-off ha assunto fin da subito un’importanza storica che ha evidenziato il ruolo politico e sociale del basket americano. I vertici dell’NBA e dell’NBPA (l’associazione che rappresenta i giocatori) si erano già incontrati nel mese di giugno per promuovere e meglio definire una risposta collettiva alle questioni di giustizia sociale negli USA. In tale occasione, il presidente dell’NBPA Chris Paul aveva espresso parole molto forti nei confronti degli ultimi fatti di cronaca:
“Le questioni del razzismo sistemico e della brutalità della polizia nel nostro paese devono finire e, in quanto rappresentanti dei giocatori della NBA e come sistema complessivo, è nostro compito utilizzare la nostra capacità di comunicazione per mettere in evidenza questi problemi e lavorare per il cambiamento”.
Non era la prima volta - e di certo non è stata l’ultima - che l’NBA mostrava il suo lato attivista in ambito politico e sociale: nel 1949, anno della sua fondazione, si pose all’avanguardia rispetto alle problematiche razziste diffuse in tutto il Paese, diventando la prima Lega sportiva ad aprire le porte agli afroamericani che fino a quel momento non avevano avuto la possibilità di giocare a livello professionistico.
Negli anni sono stati molteplici gli interventi a sostegno delle battaglie per i diritti della comunità nera e in generale delle categorie maggiormente discriminate.
Il caso più recente è quello che è seguito alle sparatorie di Atlanta del 16 marzo 2021, in cui otto persone hanno perso la vita. Di fronte al crescente razzismo anti asiatico, probabilmente alla base della strage di Atlanta, l’NBA e tutte le sue squadre hanno pubblicato sulle piattaforme social uno statement nel quale per l’ennesima volta condannano ogni forma di razzismo e manifestano supporto alla comunità asioamericana.
Il quintetto del 2020
Sono moltissimi i giocatori dell’NBA che durante il 2020 si sono resi protagonisti di manifestazioni solidali, ma se dovessimo formare una squadra scegliendo i giocatori sulla base dell’attivismo per i diritti delle minoranze e dei più poveri, probabilmente sarebbe composta da cinque giocatori in particolare.
LeBron James
The King, dentro e fuori dal campo. Dai quartieri popolari di Akron in Ohio, alla copertina del Time come miglior atleta del 2020: impossibile descrivere a parole la potenza – sportiva e mediatica – di LeBron James. Basti dire che è considerato la stella indiscussa del basket degli ultimi 15 anni, quattro volte campione NBA e terzo miglior marcatore della storia. È da sempre un grande attivista, sostenitore di molte organizzazioni benefiche tra cui Boys & Girls Club of America, Children's Defense Fund e ONEXONE ma soprattutto è stato il fondatore di numerose associazioni come la “LeBron James Family Foundation” e “More than a Vote”.
Nel 2018 ha personalmente finanziato la costruzione di una scuola ad Akron: oggi la “I Promise School” - il nome dato alla struttura scolastica - conta oltre 300 studenti provenienti da situazioni difficili, ai quali vengono forniti gratuitamente istruzione, servizio di mensa, biblioteca, mezzi di trasporto e borse di studio universitarie.
Nel corso degli anni LeBron James non ha mai esitato ad esporsi, anche con parole molto dure, contro la discriminazione razziale e la violenza perpetrata nei confronti della popolazione afroamericana. Dopo il caso di George Floyd, si è fatto portavoce di un gruppo di sportivi - tra cui moltissimi giocatori dell’NBA - riunito nell’associazione no-profit “More than a Vote”, con l’obiettivo dichiarato di promuovere e tutelare la partecipazione alle urne della comunità nera e delle categorie più povere della società. Anche sul campo da gioco LeBron James si è fatto paladino del movimento Black Lives Matter, indossando scarpe o divise con frasi dedicate alle vittime della violenza razzista come Breonna Taylor e diffondendo messaggi sociali al termine delle partite. Certamente l’eredità di “The King” andrà ben oltre i numerosi record registrati nella carriera professionale.
Giannis Antetokounmpo
Punta di diamante dei Milwaukee Bucks, agli ultimi All Star Game è stato il primo europeo a diventare MVP dell’evento (il miglior giocatore in campo). Giannis Antetokounmpo ha alle spalle una vita molto difficile, essendo cresciuto in uno dei sobborghi più poveri e malfamati di Atene. Terzo figlio di una famiglia nigeriana arrivata in Grecia da clandestina, ha trascorso i suoi primi 18 anni di vita da apolide, senza aver la possibilità di studiare o lavorare. Lui e i fratelli - anche loro diventati giocatori dell’NBA - per aiutare i genitori ad arrivare a fine mese, hanno per anni venduto per le strade di Atene orologi e occhiali da sole.
Il basket, nato come distrazione, divenne presto una passione e un’ancora di salvezza. Dopo esser stato notato da un allenatore, a 18 anni avvenne la svolta della sua vita: il Saragozza, squadra della Lega di basket spagnola ACB, lo notò e puntò tutto su di lui, proponendogli di firmare un contratto da 250 mila euro annui.
Ad oggi è uno dei migliori giocatori dell’NBA.
A causa del suo passato difficile, Giannis Antetokounmpo si è sempre impegnato per avere un ruolo attivo ben oltre il campo da basket e questo lo ha portato ad essere inserito dal Time tra le 100 persone più influenti del 2020. Dopo essere sceso nelle strade di Milwaukee insieme al movimento BLM, insieme alla sua squadra ha dato avvio al citato “boicottaggio” dei play-off, diventando uno degli sportivi protagonisti delle proteste anti razziste. Il suo attivismo è andato bene oltre i confini statunitensi, grazie a diverse donazioni che lo stesso giocatore ha devoluto alla sua cittadina greca durante l’emergenza del Coronavirus.
Stephen Curry
Altra stella del basket mondiale, Steph Curry è oggi uno dei giocatori dell’NBA maggiormente impegnati nelle cause sociali statunitensi. Durante le proteste del movimento Black Lives Matter è sceso in strada per poi inginocchiarsi insieme alla moglie in memoria di George Floyd. Negli scorsi mesi si è anche mostrato molto attivo sui social e in particolare su Instagram - dove conta oltre 33 milioni di followers - dando avvio a diverse iniziative che stimolassero una maggiore consapevolezza su vari temi, quali la politica, l’uguaglianza di genere, la sanità e i diritti degli afroamericani. Proprio con questo obiettivo, Steph Curry ha organizzato alcune dirette social con personalità di alto spicco come Barack Obama, Anthony Fauci, Clarence B. Jones (avvocato per i diritti e intimo amico di Martin Luther King).
Russell Westbrook
MVP della stagione 2016-2017, Russel Westbrook, oggi giocatore dei Washington Wizards, oltre a detenere numerosi record assoluti è stato uno dei protagonisti delle proteste del movimento Black Lives Matter.
Già nel 2016, dopo il caso di Terrence Crutcher, afroamericano ucciso a colpi di pistola da parte di una poliziotta a Tulsa, Westbrook aveva espresso parole molto dure nei confronti delle ingiustizie che il popolo afroamericano subiva da parte delle forze dell’ordine, affermando che si sarebbe personalmente impegnato per sensibilizzare il pubblico sul problema sociale. Nel giugno scorso Westbrook marciò insieme al rapper Kendrick Lamar lungo le strade di Compton, a Los Angeles, insieme al movimento BLM, e tenne un discorso di fronte alla folla invitandola a rimanere unita contro le ingiustizie e a prendere coscienza della disuguaglianza che gli afroamericani sono costretti a sopportare quotidianamente. Il 19 giugno 2020, in occasione del Juneteenth - anniversario della fine dello schiavismo - il campione NBA organizzò una diretta streaming con l’attuale Vicepresidente Kamala Harris, schierandosi apertamente contro l’allora presidente Donald Trump e sottolineando quanto quest’ultimo stesse alimentando la violenza e la discriminazione razziale. Solo un mese dopo, nel luglio 2020, Westbrook decise di dare il via ad una partnership tra la sua linea di abbigliamento “Honor the gift” e l’NBPA con l’obiettivo di produrre una collezione di t-shirt che mettesse in luce le ingiustizie sociali ancora diffuse negli States.
Kyrie Irving
Da sempre molto sensibile alle cause sociali, non solo degli afroamericani, Kyrie Irving, attuale giocatore dei Brooklyn Nets, dopo l’omicidio di George Floyd decise di non partecipare alle partite dei play-off a Orlando, proprio in nome della protesta del movimento Black Lives Matter. Lontano dai riflettori, è diventato in pochi anni uno dei maggiori filantropi del mondo dello sport: nei mesi della pandemia, la star dei Nets ha donato 1,5 milioni di dollari alle giocatrici WNBA, che hanno visto i loro compensi tagliati a causa del Covid, ha elargito 323 mila dollari alle banche alimentari per aiutare le famiglie in difficoltà e ha distribuito cibo e mascherine alla tribù indiana di cui sua madre è originaria. Inoltre, nei mesi scorsi dalle parole dell’ex campione NBA Stephen Jackson è emerso che Kyrie Irving ha personalmente comprato una casa alla famiglia di George Floyd.