Due volte rinchiusi: la pandemia nelle carceri degli Stati Uniti.

A cura di Francesca Naima Bartocci

In un anno all'insegna di chiusure e restrizioni, una categoria che ha risentito in maniera particolarmente acuta delle ricadute dovute alla pandemia è stata la popolazione carceraria.

I numeri parlano di 275 mila persone risultate positive, mentre il virus continua a diffondersi senza un apparente battuta d’arresto all’interno delle strutture carcerarie.

I dati raccolti fino allo scorso febbraio da The Marshall Project e The Associated Press mostrano, infatti, una netta differenza fra il tasso di incidenza del coronavirus nelle prigioni e fuori, tanto che un prigioniero statale e federale su cinque è risultato positivo al coronavirus - un tasso di quattro volte superiore a quello della popolazione generale.

Homer Venters, ex responsabile medico del complesso carcerario di Rikers Island a New York, ha parlato dell’indifferenza riscontrata durante le ispezioni nelle carceri, sottolineando come i detenuti si ammalino “più del previsto” in quanto, spesso, anche dopo aver mostrato i sintomi della malattia non sono sottoposti ai tamponi. Inoltre, spesso i positivi non vengono curati adeguatamente.

Organizzare il distanziamento sociale nei penitenziari non è stato facile e i detenuti ne hanno subito le conseguenze. Dalle testimonianze pervenute, le già limitate attività concesse all’interno delle strutture carcerarie sono state ridotte e, prima che fossero distribuite le mascherine chirurgiche, i detenuti si proteggevano con dei fazzoletti o rimanevano a volto scoperto.

La difficoltà del contenimento del contagio si palesa grazie ai dati raccolti dal progetto “The UCLA Covid-19 behind bars data project secondo cui quest’anno i morti nelle carceri a causa del coronavirus sono stati 2270.

I maggiori focolai di Covid-19 negli Stati Uniti si sono verificati proprio nelle prigioni e nelle carceri, ma il virus non si ferma dietro le sbarre. Basti pensare a tutto il personale che entra e esce dagli istituti, portando potenzialmente il virus all’esterno. Ogni giorno, poi, migliaia di persone vengono scarcerate e a gran parte di esse non viene effettuato un test prima del rilascio, come evidenzia questo articolo del The Guardian.

Da maggio ad agosto 2020 i focolai nelle prigioni hanno contribuito a quasi mezzo milione di casi aggiuntivi di Covid-19 nelle aree circostanti, come testimonia uno studio della Prison Policy Initiative.

Nonostante le comprovate problematiche sorte negli istituti penitenziari, vaccinare i detenuti sembrava inizialmente non essere tra le priorità degli stati: le bozze dei piani di vaccinazione presentate al CDC (Centers for Disease Control and Prevention) da parte degli stati mostravano come solo quattro dei 50 stati (Delaware, Nebraska, Maryland e New Mexico) avessero indicato le persone in stato di detenzione come soggetti prioritari durante la prima fase di vaccinazione.

Grazie alle proteste da parte dei detenuti e dei loro sostenitori e con il cambiamento delle linee guida per la distribuzione del vaccino da parte del CDC, i detenuti sono ora designati come destinatari della fase 1 da circa la metà dei 50 stati.

Tuttavia, nelle carceri locali, nelle prigioni statali e nei centri di detenzione federali la vaccinazione rimane volontaria, tanto per i detenuti quanto per il personale e perciò le campagne di educazione pubblica per i detenuti rimangono un aspetto cruciale per uscire dall’emergenza.

Incarcerated and Infected: How the Virus Tore Through the U.S. Prison System
Since March 2020, New York Times reporters have tracked every known coronavirus case in every correctional setting in the nation. More than 2,700 inmates have died.
I dati del contagio all’interno delle carceri americane